Grembo: “il bene al quadrato”, Elena Cortinovis

Ciao, io sono Anna Acquistapace e vi do il benvenuto su Grembo

In questo podcast vi accompagnerò attraverso storie di donne e uomini che condivideranno il loro “racconto di pancia”. Lo farò mettendo da parte i preconcetti per raccontare una genitorialità diversa, senza filtri, senza giudizi

Il grembo è il luogo da cui tutti noi veniamo, il nostro porto sicuro, ma è anche la nostra finestra sul mondo. 

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Oggi vi porto con me a scoprire la storia di Elena: mamma di due bambine, Ginevra e Letizia, gemelle monocoriali arrivate nella sua vita con tutto lo stupore e la meraviglia che i gemelli sanno portare. E quando si parla di gemelli, in me si accende sempre un fascino indescrivibile: quello per una vita che raddoppia, un cuore, oltre che una pancia, che si fa grande abbastanza da contenere il doppio dell’amore. Un bene al quadrato!

Elena poi ha fatto della Disciplina Dolce il suo stile di vita e oggi la condivide con tanti genitori in cerca di modelli educativi alternativi, in controtendenza rispetto a una società che ancora troppo spesso crede nella punizione e nella coercizione come unici strumenti efficaci.

Ma “Disciplina Dolce” non significa “tutto facile”.

La sua gravidanza è stata segnata da difficoltà, e il sogno di un parto naturale ha lasciato spazio a un cesareo andato a buon fine – anche se le cose avrebbero potuto prendere un’altra piega. Anche l’allattamento, che Elena desiderava profondamente, è stato abbandonato dopo una frase detta forse con leggerezza: «Ma con due gemelle vuoi anche allattare?».

Quel rimpianto ha fatto male, ma col tempo ha lasciato spazio all’accettazione, al perdono.

Accettare gli inciampi, restare fedeli ai propri valori. È questo l’augurio che Elena ha scelto per sé, e che oggi condivide con tutti noi.

[Anna] – Ciao Elena, benvenuta al microfono di Grembo, in una cornice molto speciale che è il Festival di Nidi Fioriti. Quindi siamo dal vivo, in questo festival meraviglioso. Fa molto caldo, ma sopravviveremo! E raccontiamo oggi la tua storia di nascita. Quindi per iniziare, come d'abitudine in questo podcast, ti chiedo di presentarti, dirmi chi sei, quanti anni hai, dove vivi, di cosa ti occupi e da chi è composta la tua famiglia.

[Elena] – Grazie Anna, davvero, per avermi avuto qui al tuo fianco, per avermi scelta. Io sono Elena Cortinovis, sono mamma di Letizia e Ginevra, due gemelle monocoriali, ho 33 anni, sono pedagogista e divulgatrice. E, come dico sempre, convinta sostenitrice della Disciplina Dolce, quindi un approccio rispettoso al bambino. In questi anni ho scoperto un po' cosa significa la Disciplina Dolce davvero, nella mia vita vera. Abito a Bergamo, ma lavoro in tutto il mondo in realtà perché grazie all'online la mia voce, la nostra voce, le nostre voci possono arrivare ovunque.

[Anna] – Grazie! E partiamo dall'inizio. Raccontami dell'incontro con il tuo compagno e marito. Quanti anni avevate quando vi siete incontrati e ti immaginavi già che quella relazione avrebbe portato poi alla nascita delle vostre bambine?

[Elena] – Sono emozionata oggi di raccontarti questo perché in genere parlo sempre ai genitori e oggi per me parlare da genitore è qualcosa di nuovo. Io ho conosciuto Angelo nel 2011, eravamo giovani, io avevo 20 anni, poco più. In realtà noi all'inizio eravamo amici, quella relazione in cui dici: «No, vabbè, il mio migliore amico non potrebbe essere nient'altro, no?». Cioè, con lui vado a ballare, lui mi faceva conoscere i ragazzi, quindi non poteva essere nient'altro. E no, all'inizio non avrei mai pensato che lui potesse diventare il padre dei miei figli, figlie poi.

In realtà poi qualcosa è sbocciato, qualcosa è cambiato durante un viaggio. La passione per la moto ci ha unito, e un importante incidente poi ci ha uniti ancora di più nella nostra relazione. E lì ho capito che, okay, non era solo un amico, ma era qualcos'altro. Abbiamo fatto un viaggio nella Germania romantica, la Romantische Straße, non so se la conosci. E lì la nostra amicizia è diventata poi amore e, nel momento in cui ci siamo ufficialmente fidanzati, mi sono resa conto che solo lui poteva essere il padre delle mie figlie.

[Anna] – Che meraviglia! E avevate parlato poi apertamente dell'essere genitori mentre eravate fidanzati? È un tema che avete affrontato? Come l'avete affrontato?

[Elena] – Allora, io ero già educatrice, lavoravo già nel settore infanzia e per me parlare di genitorialità era fondamentale. È sempre stato fondamentale. Io a tutti i genitori che conosco dico: «Parlate di genitorialità prima di diventare genitori perché è davvero qualcosa di importantissimo». Quindi io già raccontandogli cosa facevo con i miei bambini all'asilo, gli portavo i miei valori di genitore, anzi, di vita con dei bambini. E per me è stato fondamentale capire che lui era allineato con me; perché sono certi aspetti che quando poi sei dentro al tunnel, nella voracità della genitorialità, e non riesci più a fermarti e a dire “Cosa stiamo facendo? Che genitori vogliamo essere?”. Per me è stato fondamentale parlarne prima, da una situazione ovviamente di vantaggio, perché era già parte del mio lavoro.

[Anna] – Certo, e quindi raccontami del momento in cui vi siete detti proprio: "Ok, dai, partiamo per questo viaggio!” O è arrivata una notizia improvvisa? Non lo so, raccontami come si è accelerato tutto.

[Elena] – Allora, io mi ritengo una persona molto fortunata. Io ero la classica bambina che sognava: «Ah, a 23 anni voglio diventare mamma, voglio sposarmi a 23 anni, a 24 anni voglio diventare mamma» e ho avuto la fortuna di realizzare questo sogno. A 23 anni ci siamo sposati, mi sono sposata con Angelo che ha qualche anno in più di me, ha 6 anni in più di me. E a 24 anni, dopo un anno dal matrimonio, abbiam detto: «Dai, è il momento, vogliamo avere un bambino, volevo avere un bambino».

[Anna] – Esatto! Spoiler, non solo uno. 
[Elena] –  Spoiler, ne sono arrivate due!

[Anna] – Ok, allora mi devi raccontare perché questa cosa [la gravidanza gemellare] mi affascina sempre tantissimo. Uno dice: «Wow, sono incinta, meraviglioso». E poi alla prima ecografia arriva la doccia fredda, o no? Come l'hai presa? Come ti è stato detto? E come l'hai presa tu?

[Elena] – Sì, allora, noi non avevamo casi di gemelli in famiglia e quindi tu arrivi alla prima ecografia con la speranza che, ovviamente, vada tutto bene, perché sai quanto poteva esserci la possibilità che qualcosa andasse storto. Quindi arrivi, vai, la ginecologa ti mette sulla pancia quella cremina gelida e tu sei lì col cuore che batte a mille e il suo sguardo si ferma e ti dice: «Elena», anche perché la mia ginecologa era la mamma di una bambina che tenevo all'asilo, quindi eravamo molto in confidenza. «Elena, io...», «Cosa c'è?», «Mmm, sono due». Eh, mi ricorderò per sempre mio marito che dice: «Speriamo siano femmine».

[Anna] – Così, come prima cosa? 

[Elena] – Così dal nulla! Il fatto è stato che, subito dopo la notizia del fatto che erano due, è arrivata subito la doccia fredda del: «Sono nella stessa placenta». E io ho detto: "Okeeeeeey?»

[Anna] – Della serie, cosa significa?

[Elena] – Esatto! Nel senso che non sapevo molto del mondo dei gemelli! E significa che è una gravidanza a rischio. Dovrai fare un’ecografia ogni due settimane, per tutta la gravidanza. Fissiamo già oggi il cesareo a 37 settimane, se andrà bene – perché le probabilità di arrivare a 37 settimane sono minime. E nel caso di trasfusione feto-fetale, quindi dove un feto si alimenta più dell'altro – ve la racconto molto semplice, eh, non entrerò nello specifico – le possibilità di avere una divisione della placenta tramite un laser si fanno alte. Quindi non ho avuto tempo di metabolizzare…

[Anna] – Ecco, infatti, perché  sono una valanga di informazioni, già il fatto che uno è incinta tipo: "Ok, devo metabolizzare", il fatto che siano due e ti dicano queste parole… tu, come Elena, come l'hai vissuto? Com'erano quei giorni, quelle ore?

[Elena] –  Io avevo paurissima. Io avevo paura e mi sentivo la “responsabilità” che qualcosa potesse andare storto. Perché sapere che dentro di te ci sono due vite e, nel caso in cui vada qualcosa storto, nemmeno una potrà arrivare fino alla fine, mi ha davvero spaventato tantissimo. La mia fortuna è stata l’essere seguita da questa ginecologa, che mi ha seguito per tutta la gravidanza e che, settimana dopo settimana (perché ogni due settimane c'erano le ecografie) mi rassicurava e mi spiegava tutto

Comunque la paura è stata l'emozione che ha accompagnato tutta la mia gravidanza.

[Anna] – La gravidanza, però, è andata bene? Come sono passati questi mesi? Era tutto sotto controllo, un po' faticoso?

[Elena] –  È andata…Io oggi dico bene, se mi riguardo indietro dico… si possono dire le parolacce?".

[Anna] – Ci sono un po' di minorenni, forse meglio no!

[Elena] –  Okay! Come cavolina ho fatto a farcela 8 anni fa? Perché i primi 4 mesi vomitavo tipo esorcista. Ho perso una marea di chili durante i primi mesi, perché solo le patatine dei sacchetti salate, cioè aggiungendoci del sale, riuscivo a mangiare. Quindi i primi 4 mesi ero ko!

[Elena] – Purtroppo, a lavoro, lavoravo in un asilo parrocchiale, non mi hanno trattata molto bene.

[Anna] – Perché?

[Elena] – Eh, perché loro si aspettavano da me qualcosa di diverso rispetto a quello che io ho detto. Loro si aspettavano che io dicessi: «Inizio a provare ad avere un figlio». E io questo non me lo sono mai sentito, perché comunque penso che ogni genitore che ci ascolta sappia che non è proprio così. Possono passare mesi, possono passare anni e io, di pensare ogni giorno alle mie colleghe che mi guardavano dicendo: «Ah, ha il ciclo, non è ancora incinta, poverina», non me la sentivo. 

Quindi dalla parte del mio lavoro c'è stato il: «Dovevi avvisarci, sei la più giovane, potevi aspettare». 

E dentro di me c'era la paura della gravidanza, che ha avuto alti e bassi, nel senso che comunque sono stata ricoverata anche per due settimane, durante la gravidanza, per rischio di parto prematuro. Poi le ecografie ogni due settimane con l'attenzione ai valori erano davvero molto stressanti. 

[Anna] – Eri col fiato sospeso.

[Elena] – Sì, e sapendo comunque che avrei portato avanti un parto cesareo, quindi addio al parto naturale dei sogni, come tutte ci immaginiamo – o forse quasi, insomma, chi se lo sogna; io me lo sognavo. Sapendo che avrei idealmente dovuto già mettere in conto dei giorni in terapia intensiva, perché sicuramente sarebbero nate molto piccole eccetera. E dall'altra parte le mie colleghe con cui avevo condiviso tantissimo non mi hanno supportato, mi hanno fatto sentire molto sola, quindi è stato molto difficile.

[Anna] – Quindi fino a quanto hai lavorato lì?

[Elena] –  La legge dice che in teoria, lavorando a stretto contatto con bambini, con molte malattie – lo sappiamo molto bene – l'educatrice dovrebbe stare a casa da subito. Mi hanno chiesto di andare avanti a lavorare ancora un mesetto. Io andavo, ma, ragazzi, dovevo sempre avere l'educatrice per me, perché io ogni 10 minuti dovevo andare a vomitare. Ero uno straccio, ero uno straccio. Infatti ho ricevuto tantissimo supporto dai genitori per assurdo.

[Anna] – Esatto. Infatti volevo sapere se c'erano altre reti che si sono attivate per la tua famiglia, immagino.

[Elena] – Sì, mio marito è stato fantastico, ed è fantastico da ogni punto di vista. Le mamme dei bambini con cui lavoravo mi hanno veramente sempre sostenuto tantissimo, tanto che ancora oggi mi seguono su Instagram e mi dicono: «Elena, mi ricordo quando...» cioè il mio cuore tipo esplode di gioia. E la gravidanza in realtà è finita dopo le due settimane di ricovero e a riposo assoluto per gli ultimi due mesi. Quindi la mia gravidanza me la sono goduta tra il quarto e il quinto mese. Quel mesetto me lo sono proprio goduta, andavo in giro tutta fiera del mio pancione. «Sono due? Ma non si vede»; «Signora, ho vomitato per 4 mesi, ci sta». 

E poi sono rimasta proprio a letto, assoluta, ma perché, come dicevamo prima, l'emozione della paura mi ha fatto dire: «Se c'è anche la minima possibilità di uscire di casa, fare la spesa, comprare il latte, qualcosa può andare storto, io me ne sto qua, mi alzo solo per fare la pipì e poi sto sdraiata e basta, perché deve andare tutto bene».

[Anna] – E rispetto al cesareo, perché te l'hanno data come unica opzione, giusto? Per te che avevi già un'idea di “se un giorno è, vorrei avere un parto naturale”, come ti sei preparata nei mesi precedenti al cesareo?

[Elena] – Questa per me è stata la notizia più difficile da mandare giù. So che negli ultimi anni le cose sono un po' cambiate, e a me è stato detto che, visto la possibilità di trasfusione feto-fetale durante il parto, quindi durante il parto stesso naturale poteva andare qualcosa storto, le possibilità, anche minime, che potesse andare qualcosa storto, le volevo annullare o perlomeno ridurre il più possibile con un cesareo. Quindi non ho nemmeno messo in conto la possibilità di provare un parto naturale, anche se so che ci sono persone che lo hanno comunque provato, anche con una gravidanza monocoriale. 

Io ai tempi, giovane, non conoscendo nulla del mondo dei gemelli, avendo piena fiducia dell'ostetrica che mi seguiva, della ginecologa che mi seguiva, ho detto: «Se voi mi consigliate questo, va bene così». Ho dovuto prendermi tanto tempo per accettarlo, perché per me, comunque persona informata, dire: «Devo rinunciare da subito, dalle 7 settimane, alla possibilità di avere un parto naturale» è stato tosto.

Avevo tantissimi sensi di colpa pensando che le mie figlie avessero qualcosa di meno rispetto agli altri bambini, perché io, il mio corpo, non ha potuto dargli la possibilità. 

Inoltre ti dico anche un'altra cosa, e spero che questo lo ascoltino le mamme di gemelli, future o in corso. Io avevo tantissima paura che le mie figlie potessero avere qualcosa di meno solo perché erano gemelle. E quindi io tante volte ho pensato: «Se fosse stata solo una sarei stata meglio, se fosse stata solo una avrei fatto un parto naturale, se fosse stata solo una…eccetera eccetera». Tante volte mi sono scontrata con questo pensiero, invece di dire: «Solo perché sono due, io non sto dando loro di meno».

[Anna] – Bella riflessione che, tra l'altro, penso che possa essere estesa anche ai secondi figli. Perché questa sensazione arriva anche in questi altri casi – negli episodi del podcast mi è capitato di ascoltare queste storie, per cui all'arrivo del secondo figlio dici: «Il tempo è sempre è sempre quello, però devo raddoppiare le fatiche, le attenzioni, come farò a dare le stesse attenzioni?». Ecco, dammi uno spoiler sul futuro, come l'hai risolta questa cosa?

[Elena] – Allora, secondo me la differenza è che quando fai il secondo, hai quei 9 mesi di tempo per prepararti e lo sai. Lì vivi l'esperienza della prima figlia, del primo figlio, insieme al secondo, quindi ti manca un pezzettino di preparazione, secondo me, no? Questi sensi di colpa se affrontati, se ascoltati, vengono superati. Io non credo che: «Ma sì, col tempo tutto passa», col tempo tutto passa se ci si lavora, quindi se si ascoltano quelle emozioni. 

Quando parlo di Disciplina Dolce dico sempre: «Legittimiamo le emozioni dei nostri figli, ma legittimiamo anche le nostre!». Se c'è una paura, se c'è una fatica, ascoltiamola, perché ci sta dicendo qualcosa. 

Quindi se tu ti senti di essere “meno” solo perché – passatemi il termine, eh, parlo proprio diretto – solo perché ti sono capitate due figlie insieme, vuol dire che ci devi lavorare, vuol dire che questa paura ti sta dicendo qualcosa. Ascoltala, accoglila, falla parlare e poi non farti fermare da quella paura. E allora così poi tutto andrà meglio. Sono appena tornata da una vacanza in cui ogni giorno le guardavo e dicevo: «Per fortuna sono due!».

[Anna] – Arriviamo al momento clou, che è il momento del parto, che quindi era programmato. Avevi la data X alla 37ª settimana, com'è andato quel giorno? Come ci sei arrivata in quelle ultime ore? La sala parto? raccontami tutto.

[Elena] –  Io dico «miracolo» perché sono arrivata 37 settimane. Io non potevo crederci. Eh, tra l'altro ho condiviso tutta la mia gravidanza con altre due famiglie, tra cui una mamma di un bambino dell'asilo, che è rimasta incinta nel mio stesso periodo, anche lei di due gemelle monocoriali; e ci incontravamo ogni due settimane.

[Anna] – Per le stesse ecografie!

[Elena] – E lei ha partorito in anticipo e lei non è arrivata alle 37 settimane. I social ti permettono di avvicinarti a tante altre persone che vivono le tue stesse esperienze. Sono entrata in un gruppo di gemelli monocoriali e ovviamente tutte le esperienze erano negative. Parlavano di terapia intensiva anche di mesi, di bambini nati a 28 settimane, cose che mi viene ancora da piangere se ci penso, perché durante questa gravidanza tu un po' accetti il fatto che che per te sarà così, e quando tu arrivi a 37 settimane dici: «Sono arrivata a termine». Non ci puoi credere e pensi: «Perché io sì e tante altre persone no?». 

E quindi io mi sentivo veramente miracolata, cioè non uso questo termine a caso perché io dicevo: «Io non ci posso credere come ho fatto?». Ovviamente non è dipeso da me, non è dipeso da nessuno. È andata così! 

Sono stata ricoverata il giorno prima per il cesareo; poi il giorno dopo e durante la notte ho iniziato ad avere un sacco di contrazioni, perché mi han detto: «Probabilmente ora sentono che sei pronta», anche perché loro erano in posizione.

[Anna] – Fantastico!

[Elena] – Eh, quindi io lì dicevo, ma io quasi quasi…però ho frenato! Facciamo le cose come abbiamo detto. Alle 7 del mattino arriva la mia ginecologa, mi dice: «Ok, andiamo». Io non avevo il cervello veramente, non so, ero in un altro pianeta. 

Il cesareo per me è stato un po' freddo. 

So che in questi ultimi tempi tante cose sono cambiate, di questo sono davvero molto felice. Ehm, è stato freddo, ma è andato tutto bene, nel senso che le mie bimbe sono nate alle 8:00 del mattino, 8:12, 8:13. Appena nate hanno pianto subito, ho sentito subito le loro voci, me le hanno messe vicine e... E tra l'altro ti racconto questa cosa, dai, così per per ridere un po'! 

[Elena] – Appena esce Ginevra mi dicono: «Eh, Ginevra ha un neo sul viso», e io mi immaginavo tipo una bambina con tipo una faccia piena di nei e invece poi era minuscola, e ho detto «ma è minuscolo!». E per fortuna aveva quel neo, perché le mie gemelle, essendo monocoriali, sono identiche. Quindi quel neo ci ha permesso sempre di capire chi era una e chi era l'altra, senza tenere il braccialetto per settimane. 

La paura più grande è: «E se le abbiamo confuse durante i primi giorni?

[Anna] – So che questa è una domanda super tabù, cioè, però, non vi è capitato? Per via del neo?

[Elena] – No, no. In realtà, al di là del neo, noi le abbiamo sempre riconosciute.

[Anna] – Anche da piccolissime vedevi già delle differenze?

[Elena] – Allora, tra l'altro, Letizia era super rossa di carnagione e Ginevra super bianca. E quando è venuto il dottore per le dimissioni mi ha detto: «Ma si è resa conto che lei ha rischiato una trasfusione feto-fetale durante il cesareo?». Ho detto: «No, cioè mi state dimettendo dopo 3 giorni e io sto dicendo che sono stata miracolata di questa cosa». «Eh, ma non vede che le sue figlie hanno due colori diversi?». E quindi, in realtà, per fortuna ho fatto il cesareo, perché con un naturale non avrei…boh, chissà come sarebbe andata!

[Anna] – Sarebbe stato forse più complesso…

[Elena] – Sì, sì. E quindi in realtà dopo tre giorni ci hanno dimesse ed è andato tutto estremamente bene. Forse so già cosa mi vuoi chiedere…

[Anna] – Esatto. No, no, prima di arrivare a quello ho un'altra domanda, perché sei andata veloce sul “arriva una, poi l'altra”. Le hai prese su di te? Sei riuscita a tenerle vicino? 

[Elena] – No, in quel momento no. Ehm, me le hanno fatte salutare, mi han fatto dare il bacio, ma non han potuto lasciarmele lì, poi ho scoperto per quel motivo lì, quindi son dovute andare subito a fare un controllo e nella culletta termica.

[Anna] – Ok. E le emozioni che vivevi, proprio in quel momento lì, com'erano? Tu, Come ti sentivi? Ti sei sentita mamma subito? Era tutto scritto o hai dovuto vivere con delle emozioni contrastanti? Come stavi tu lì?

[Elena] – Ma nel momento in cui mi han detto che è andato tutto bene, e ovviamente me l'han detto subito, no? 

Nel momento in cui sono nate, io lì ho respirato. 

È come se per 9 mesi fossi stata in questa apnea in cui “non so cosa succederà, non so se sarò mamma”, e nel momento in cui le ho sentite piangere ho detto: «Ok, eh, ce l'abbiamo fatta».

[Anna] – E arriviamo all'altro momento di salita, perché si sa, dicono, che quando c'è un cesareo la parte di allattamento può essere un percorso un po' più in salita. E innanzitutto non ti ho fatto la domanda prima, avevi fatto un pensiero sull'allattamento? Avevi un'idea a riguardo? E, poi, com'è andata effettivamente?

[Elena] – Questo è il mio secondo, anzi forse, primo per importanza, più grande senso di colpa. Proprio perché durante questi 9 mesi io ho scoperto la Disciplina Dolce. Avevo un sacco di tempo libero, ero sdraiata tutto il giorno a leggere, a studiare, a informarmi, qualunque cosa. È lì, no, che ho scoperto poi cos'è la Disciplina Dolce e quello che, per me, era il mio obiettivo di genitorialità. Ad esempio, l’alto contatto. Nell’alto contatto c’era il portare in fascia, quindi subito a comprare la fascia, e tenerle nel lettone se necessario, e allattare a termine. Quindi la mia idea era “mmm, perché no?”. 

Ma durante la gravidanza c'erano così tanti altri pensieri che non ho forse dedicato abbastanza tempo al pensare che quella parte, in realtà, era così importante e non era proprio così naturale, come a volte ti fanno credere. 

[Elena] – Io ho partorito alle 8:12, 8:13, e alle 14 – me lo ricorderò sempre – mi suona il cellulare, numero sconosciuto. Rispondo e: «Ciao, sei la mamma di Letizia e Ginevra?»; «Sì, sono io»; «Le bimbe ti aspettano, puoi venire a trovarle»; «Eh, io ho il catetere, non mi posso alzare»; «Ti mandiamo subito qualcuno». Alle 14:02 arriva un infermiere, a me non mi interessava se era maschio, “toglietemelo, devo andare”. Mi toglie il catetere, io mi alzo e cammino verso il nido. Cammino, stavo per svenire, non so, veramente non so come, stavo per svenire, non ce la facevo, mi faceva male tutto. Busso, apre l’ostetrica che mi dice: «Ma dov’è la sedia a rotelle?». «Eh, mi avete chiamato, ci sono qua le mie figlie che hanno bisogno di me?!».

Ed è lì che mi fanno per la prima volta la domanda: «Vuoi allattare?». E io è come se avessi rimosso completamente questa cosa.

[Anna] – “Ah, c’è anche questo pezzo?”

[Elena] – Ah, già, è vero. Aiutatemi! Cioè io mi sono trovata in un silenzio di «ho bisogno di qualcuno». 

Purtroppo, veramente questo è stato il mio più grande rimpianto, ho trovato persone che mi hanno detto: «Vabbè, ma cioè, con due gemelle vuoi allattare? Ma guarda, vai tranquilla, anche perché se tu gli dai l'artificiale domani ti mandano a casa».

[Anna] – Esci prima.

[Elena] – Di fronte a quelle parole io ho detto: «No, no, va bene, datemi il biberon, datemi la pastiglia». Va bene, cioè, se questo è il bene per le mie figlie, questo è quello che farò. E per tantissimi mesi, forse anni, ho pensato, ma se io lì dall'altra parte di quella porta avessi trovato qualcuno che mi diceva: «Puoi farcela, provaci, magari non ce la fai, fa niente, però ci hai provato», probabilmente avrei vissuto un'esperienza diversa. Non credo magari totalmente positiva di “oddio, che bello, allatto” – come leggevo nei libri – però ci avrei provato. 

Quindi per me è stato un rimpianto grandissimo il non averci nemmeno provato, perché tutti intorno a me, mi dicevano: «Ma sono due, cioè Elena, stai tranquilla, già non ce la fai, già hai un cesareo, già hai due bambine piccolissime!», perché sono nate di 2 chili e 100 che poi, secondo me, così piccole non erano realmente, comunque!

Mi ricorderò sempre, dopo il controllo, dopo una settimana, che queste – io credo – puericultrici che toccavano le braccia delle mie figlie e mi dicevano: «Eh, signora non vede che è pelle questa? Ma gli sta dando da mangiare? Guardi che se lei continua così io gliele ricovero». Quindi io lì dicevo che non ho avuto la possibilità di allattare, perché, vero, alla fine è stata una mia scelta, una scelta però che mi è sembrata un po' guidata. Non ho avuto il coraggio di dire no, e voi mi fate sentire comunque in colpa perché dopo una settimana le mie figlie sono piccoline?. 

È stato davvero molto molto difficile e credo che per tantissimi mesi, poi, mi sono portata dentro questa ansia di: «Ma mangiano abbastanza? Ma stanno crescendo abbastanza? Ma se avessi allattato, sarebbero cresciute di più?». E quindi per me questa è stata una ferita molto profonda che mi sono portata avanti per tanto tempo, tanto che, nella mia prima esperienza da divulgatrice, non parlavo di allattamento, perché per me era una ferita troppo grande. 

Se qualcuno mi chiedeva: «Ma Disciplina Dolce parla di allattamento, cosa ne pensi?» Io mi bloccavo perché sulla carta c'era una strada che era molto diversa da quella che poi in realtà io sono riuscita a portare avanti. Ed è per quello che adesso ci tengo tantissimo a dire ai genitori: «Accettate anche degli inciampi, delle cose che non vanno come vi immaginate». Alto contatto non è solo per forza allattare. L'importante, secondo me, è essere consapevoli delle possibilità che si hanno.

[Anna] – Esatto. Infatti, a proposito di Disciplina Dolce, vorrei approfittare che sei qui, ovviamente, per fare un focus su questa che è la tua materia, uno stile anche di vita, direi, per il quale in generale, però, secondo me, c'è tanta disinformazione. Perché quando si parla di Disciplina Dolce alcuni pensano: «Eh ma lasci il bambino fare tutto quello che vuole, senza controllo, senza regole, ai miei tempi si faceva così, siamo venuti su bene lo stesso».

Invece, rispondere con la Disciplina Dolce è oggi un atto, insomma, importante che può effettivamente cambiare poi anche il nostro futuro come società. Quindi, un po' me l'hai raccontata come ci sei arrivata, ti va di raccontarmi un po'? Intanto una dare intanto una definizione, partiamo dal semplice. Poi come la Disciplina Dolce si è inserita nella tua vita di mamma, perché un conto è quando la racconti agli altri, come hai detto anche adesso poco fa sull'allattamento, un conto poi è viverla come mamma tutti i giorni.

[Elena] – Allora, la Disciplina Dolce è un approccio rispettoso al bambino, ma in realtà io l'ho portato come approccio rispettoso alla vita, a tutti, grandi, piccoli, giovani, vecchi. Come vedremo forse dopo. È un approccio educativo che si discosta dall'utilizzo di premi e punizioni. Quindi io porto avanti la crescita dei miei figli senza trattarli da soldatini da addestrare o da marionette da muovere a mio piacimento, ma come persone, persone che meritano rispetto.

Quando io ho iniziato a leggere non c'era in realtà una definizione, era molto difficile, nel senso che la Disciplina Dolce è un'unione di tante teorie che hanno tutte come fine il rispetto. Questa può essere una buona sintesi. Ed è stato molto difficile all'inizio capire realmente cosa significasse, perché anche quando inizi a leggere sembra qualcosa di molto rigido, cioè: “se non allatti non sei una persona che segue la Disciplina Dolce, se non tieni i bambini nel lettone non segui la Disciplina Dolce, se non porti in fascia…” In realtà non è così!

È la flessibilità di capire quali sono i bisogni della persona che hai davanti e quali sono i tuoi bisogni. 

Quindi io ho fatto pace con me stessa e con la Disciplina Dolce nel momento in cui ho detto: «La posso adattare a me». C'è stato un periodo, quando le mie figlie erano molto piccole, in cui ho detto: «Io non voglio più leggere niente di Disciplina Dolce, non è assolutamente applicabile nella vita vera», ed è quello che molto spesso i genitori mi dicono: «Ma non è applicabile, ma è utopia». È utopia nel momento in cui tu prendi una teoria e dici: «La devo copiare, incollare nella mia vita». Nel momento in cui invece dici: "Quali sono i valori?". I miei valori sono “il rispetto”. E come possiamo non essere d'accordo su questo? Viviamo in una società in cui ci fa dimenticare quanto sia importante rispettare chi la pensa come te, ma anche chi non la pensa come te. 

La Disciplina Dolce mi aiuta a comunicare. Comunicare significa fare arrivare il mio messaggio alle altre persone, adattare il mio messaggio alla persona che ho davanti, perché con te parlerò in un modo, con le mie figlie in un altro, con un bambino di 2 anni in un altro ancora. Quindi ho fatto pace con la Disciplina Dolce nel momento in cui ho detto cosa è per me il rispetto e quali sono i miei valori. E allora il mio valore è non insegnare alle mie figlie attraverso le minacce, attraverso la violenza fisica e verbale, attraverso i premi, perché loro devono conoscere il giusto e lo sbagliato, perché capiscono quello che io sto dicendo, perché sanno quali sono i valori che ci muovono e non perché io dico: «Brava pat, le do la caramella se fa la brava o vai in camera tua, se stai sbagliando». 

E quindi lì la Disciplina Dolce per me ha preso un valore completamente diverso, il valore dell'essere allineata coi miei valori. E se per me quello è un valore nella mia vita a prescindere dall'essere mamma o meno, allora sarò più naturale nel comunicare con le mie figlie, perché la Disciplina Dolce non funziona nel momento in cui è qualcosa di forzato. 

Mi tolgo questo sassolino dalla scarpa. Viviamo in un'epoca social dove tutti sembra che ne sappiano meglio di noi, che tutte ci dicono «Di’ queste tre frasi, studia questo copione e sarai il genitore giusto per tuo figlio». Magari fosse così semplice! Avremmo solo un libro da leggere e studiare a memoria, alla fine saremo i genitori perfetti, ma magari! Non è così, non è così. Dobbiamo sempre informarci, dobbiamo sempre studiare perché il genitore che io sono oggi, con due bambine di quasi 8 anni, sarà diverso dal genitore che sarò quando le mie figlie avranno 14 anni, e sono una persona diversa rispetto a quando ne avevano 2. Perché se tornassi indietro nel tempo, probabilmente farei un sacco di errori di meno. 

Disciplina Dolce è anche perdonarsi. Mi perdono per gli errori che ho fatto. L’allattamento, in primis, è stato un errore? Mah, oggi forse non lo vedo nemmeno più come un errore. È stato un percorso, una strada nella mia vita che non ha seguito la linea della perfezione che io m'ero immaginata, ma che mi ha portato comunque ad avere una relazione meravigliosa con le mie figlie.

Applicare la Disciplina Dolce alla vita adulta

[Anna] – E me lo tolgo anch'io un sassolino! Secondo me questa Disciplina Dolce, stiamo parlando di genitori e di bambini, ma proviamo ad applicarla nella vita adulta, anche tra di noi adulti! Perché hai citato i social, che a volte sono un terreno difficile e scivoloso, e il giudizio è sempre dietro l'angolo. Intanto è bello partire dai bimbi, perché quando diventiamo genitori abbiamo l'opportunità di rimetterci un po' anche in discussione come persone, perché, dicevi, «partiamo dai bisogni, dal nostro ascolto» lo stiamo facendo per loro, ma innanzitutto partiamo da noi. E poi a cascata, secondo me, a beneficiarne potrebbe essere veramente anche il mondo degli adulti. Ecco. 

[Anna] – Vorrei concludere questa chiacchierata con uno sguardo rivolto alle mamme che sono in ascolto – adesso qui dal vivo, ma anche per quelle che ci stanno ascoltando nel podcast – e che si sentono in bilico, si sentono stanche, che stanno facendo fatica, sentono quel giudizio che tu stessa hai vissuto quando hai dovuto annunciare che eri incinta e non è arrivata quella risposta che speravi. Ti va di lasciare loro un'immagine, una frase, un qualcosa che possa aiutarle un po' a trovare la loro strada?

[Elena] – Quando ti sentivo parlare, ho pensato a una cosa, un pensiero che mi ha sempre dato salvezza in quei momenti ed è stato: in questo momento io e mio marito siamo le persone più importanti per un altro essere vivente, per un'altra persona che diventerà un adulto. E questo pensiero mi ha sempre aiutato. Non l'ho mai visto come un: «Oddio, è una enorme responsabilità che non mi riesco a prendere in questo momento», ma come una spinta, come dire: «Tutto il resto è meno importante se io riesco a pensare che, per questo esserino, nel mio caso per queste esserine, che ho nelle mie braccia, in questo momento, io sono la persona più importante».

Quindi io devo imparare a ricordarmi chi sono, devo imparare, come dicevamo prima, ad accogliere le mie emozioni, anche quelle più difficili. 

Perché dietro al diventare genitori non c'è solo “oddio che bello, wow, siamo diventati genitori!”, lo sappiamo bene. E chi lo affronterà lo scoprirà e... Va bene, può portare paura. Sì, va bene, accettatela, fatela vostra, ma ricordatevi sempre che la cosa più importante è essere fermi, essere decisi, essere sicuri su quelli che sono i valori. 

Quali sono i miei cinque valori?

[Elena] – C'è un esercizio che faccio sempre fare ai miei genitori. Quando vi sentite nel mare in burrasca, quando vi sentite persi e non sapete dove andare, ricordatevi sempre quali sono i miei cinque valori. Se questi cinque valori sono il rispetto, l'ascolto… Nel mio caso, nei miei cinque valori, c'è la comunicazione non violenta, ad esempio. Imparare a comunicare in maniera non violenta, non solo nei confronti degli altri, ma anche nei miei confronti, allora io sono sulla strada giusta. Poi eh, la tempesta non la fermeranno i miei pensieri. 

Le tempeste ci saranno sempre e, non per spaventare, ma più sono piccoli, davvero, più le tempeste sono piccoline, perché poi le tempeste diventano diverse. Più difficili? Non lo so, ma sicuramente diverse. 

E questi cinque valori probabilmente non cambieranno mai, perché questi valori rimarranno sempre al vostro fianco. Questi cinque valori si evolveranno, come? Nella nostra comunicazione, nel modo in cui ci approcceremo ai bambini. Quindi, non abbiate paura a cambiare. Va bene cambiare, si cambia sempre, è follia pensare di rimanere sempre gli stessi. Se io tornassi indietro cambiare tante cose, sì, ma va bene così: mi hanno permesso di diventare la persona che sono oggi.

[Anna] – Grazie, grazie Elena. E beh, si sopravvive anche con i gemelli, questo lo possiamo dire, perché sei qui a parlarne. Letizia e Ginevra sono qua in giro e le vedo belle felici e contente. Quindi grazie per il tuo racconto, per le tue belle parole e a presto.
[Elena] – Grazie a te davvero, è stato un grandissimo piacere. Grazie!

Credits

Grembo, racconti di pancia” è un podcast di Anna Acquistapace ed è sostenuto da Nidi Fioriti, un'iniziativa che coltiva l’alleanza tra scuola, famiglia e territorio, a partire dai più piccoli. 

Musiche © Pablo Sepulveda Godoy

Produzione video © Andrea Sanna

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